E la primavera era esplosa. Così dicevano ma non era vero. Quella che chiamavano esplosione era il raccolto di silenzio, di buio, di gemme abortite e gelate, di rami spezzati, di boccioli bocciati, cristallizzati, audiolesi, di siccità infinite e di ritorni d’inverno improvvisi, brevi e micidiali che squamavano le gemme, che piegavano i virgulti, che portavano danno e non guadagno.
E giovani che fiorivano in un giorno, così belli, così lunghi e fessi, che non c’era paragone con altre fioriture e altre gioventù.
Eppure era bello invecchiare.
Scoprire quella ruga che scompariva e ricompariva, spalle fiere su gambe tremolanti, e occhiali cadere.
Sparire, dissolversi in un metro quadro, e rompersi e disperdersi, deflagrarsi sul pavimento, sul selciato.